Il rito senza parole e il cadavere che sempre racconta. Pratiche di destrutturazione semiotica nella tradizione tibetana
Articolo
Data di Pubblicazione:
2012
Abstract:
Questo saggio poggia sulla convinzione che la semiotica abbia molte cose da imparare da un confronto con teorie, sul segno e sulla narrazione,sviluppate in altri contesti culturali. In tale prospettiva, prendo qui in esame parallelamente una pratica rituale e un ciclo narrativo diffusi nella tradizione tibetana: prodotti culturali che possiamo vedere entrambi quali espressioni di un certo atteggiamento negativo verso le connessioni semiotiche, tipico del pensiero buddista.
Il rituale dello Stato di quiete (tib. Shi–gNas) implica la momentanea sospensione del filtro linguistico e concettuale che normalmente s’interpone nel rapporto tra noi e le cose, e con questo la sospensione della divisione tra interno ed esterno, tra soggettivo e oggettivo. La realizzazione di un distacco dai comuni stati di attaccamento patemico verso gli oggetti della quotidianità è raggiunta attraverso una concentrazione mentale su cicli di ventuno respiri. In maniera sottilmente analoga, il venerabile complesso narrativo dei Racconti del cadavere presenta ventuno racconti che sfidano la nostra capacità di restare
immuni alla forza di coinvolgimento della forma narrativa. Nell’uno e nell’altro caso, vengono messi in questione i fondamenti stessi del nostro universo semiotico: la strutturazione linguistica, la connessione narrativa, le configurazioni patemiche.
Tipologia CRIS:
03A-Articolo su Rivista
Keywords:
Semiotica; Narrazione; Rituale; Cultura tibetana
Elenco autori:
Guido Ferraro
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