Biomarcatori di esposizione ed effetti in soggetti esposti a micro- e nano-plastiche in scenari occupazionali ed ambientali
Progetto L'inquinamento ambientale da micro-nanoplastiche (MNPL) è ritenuto una minaccia crescente per la salute umana. Le MNPL sono polimeri organici composti da additivi aventi rispettivamente un diametro < 5 mm e 100 nm o inferiore. Ad oggi, la presenza e le fonti di emissione dei MNPL negli ambienti di lavoro ha ricevuto scarsa attenzione, sebbene in alcuni comparti produttivi vi sia il potenziale di esposizione a MNPL, generate durante la degradazione meccanica di materiali in plastica (NIOSH 2020, https://blogs. cdc.gov/niosh-science-blog/2020/02/19/microplastics/). I pellet di resina plastica, le microsfere di plastica sono utilizzate in molte applicazioni industriali, compresi gli inchiostri per stampanti, nelle vernici, nello stampaggio a iniezione e negli abrasivi. Verosimilmente, una parte delle microplastiche utilizzate nelle applicazioni industriali dovrebbe fuoriuscire dai siti di produzione ed entrare nell'ambiente.
I lavoratori nella gestione dei rifiuti, nelle operazioni di riciclo, nella lavorazione di prodotti in polimeri e durante la fusione della plastica nella stampa 3D, potrebbero essere potenzialmente esposti a MNPL nell'aria. Oltre alla dinamica di rilascio, soprattutto dopo la degradazione termica dei polimeri, le nanoplastiche aerodisperse sono state scarsamente caratterizzate, a causa della complessità delle loro composizioni chimica, dimensioni, forma e della loro associazione con altri rischi chimici presenti nei luoghi di lavoro, quali componenti delle stesse materie plastiche. È noto che in seguito all'inalazione di prodotti di degradazione termica del politetrafluoroetilene, può svilupparsi una disfunzione polmonare da lieve a grave nota come "febbre da fumi polimerici" (Williams et al., 1974). Questo disturbo è stato associato alla presenza di particelle su nanoscala incluse nei prodotti di decomposizione, compresi i polimeri, nei fumi, in grado di raggiungere la zona degliscambi respiratori e raggiungere l'interstizio polmonare. La stampa 3D sta diventando popolare non solo negli uffici ma anche a casa. Funziona depositando uno strato dopo l'altro di plastica fusa a temperature fino a 320 °C, quindi lo estrude su una piastra di base mobile per produrre oggetti diversi, inclusi giocattoli, pistole e arti artificiali. Maggiore è la temperatura, più gas vengono prodotti e alla fine si formano più particelle. Sebbene molte domande di base sulla quantità e sui tipi di composti nelle emissioni delle stampanti 3D debbano ancora essere risolte, i lavoratori degli impianti addetti alla stampa 3D possono essere esposti a particelle di MNPL, oltre ad altre emissioni, presenti nell'aria (Stefaniak et al., 2018; Stefaniak et al., 2019a e 2019b).
In assenza di misurazioni sistematiche, il processo di fusione continua rilascia nell'aria composti organici volatili (COV) e particelle ultrafini (UFP). Ad esempio, la stampa con acrilonitrile-butadiene-stirene (ABS) emette stirene e formaldeide, il nylon rilascia caprolattame, un irritante per le vie respiratorie e l'acido polilattico (PLA) emette metil metacrilato, un lieve irritante per la pelle. Inoltre, gli additivi per filamenti possono modificare drasticamente le emissioni. Ad esempio, il PLA che include sostanze in traccia per renderlo resistente agli urti genera più particelle rispetto all'ABS standard (Zhang et al, 2019), così come particelle contenenti cromo, nichel e alluminio durante la stampa possono essere prodotte da coloranti contenenti metallo all'interno dei filamenti di ABS colorato.
Per le loro dimensioni molto ridotte, possono interagire con i sistemi biologici e rappresentare una possibile fonte di rischio per la salute nei soggetti esposti portando ad alterazioni a carico dell'organo bersaglio (in primo luogo il polmone), stress ossidativo (SO) e attivazione di vie infiammatorie. Sebbene siano note le proprietà tossiche di alcuni componenti MP/NP, il possibile impatto sulla salute umana merita