Le epidemie stanno diventando una nuova normalità accentuate da un mondo fortemente globalizzato. Se un ceppo di influenza aviaria fu l’origine dell’influenza spagnola che causò milioni di morti in tutto il mondo tra il 1918 e il 1919 (ad oggi considerata la pandemia più mortale della storia umana), vari altri episodi di minore rilevanza ne sono seguiti in tutto il Novecento, come l’influenza asiatica del 1957 e l’influenza di Hong Kong nel 1968.
Dagli anni ’80 le epidemie sanitarie sono aumentate, sia per numero che per diversità delle malattie favorite dal rapido miglioramento della mobilità dei viaggi internazionali, una forte densità di popolazione nei grandi centri urbani e sistemi di sanità spesso carenti in alcuni paesi in via di sviluppo. Tutto ciò favorisce una maggiore esposizione a nuove malattie e un più alto potenziale di trasmissione. Epidemie come la SARS (Severe acute respiratory syndrome), la febbre suina H1N1 o la MERS (Middle East respiratory syndrome) hanno ben evidenziato i rischi per la salute umana e il loro impatto sull'economia. Per la SARS, la perdita calcolata nei principali paesi colpiti Cina, Hong Kong, Singapore e Canada tra novembre 2002 e luglio 2003 fu tra i $ 30 e $ 50 miliardi in questi paesi, con il turismo a Singapore in calo del 70%. Per la febbre suina H1N1 l’impatto economico in tutto il mondo, in seguito allo scoppio del 2009, è stato stimato tra $ 45 e $ 55 miliardi con una perdita per l’industria turistica messicana di $ 5 miliardi. In Brasile l’impatto di Zika è stato calcolato tra i $ 7 e $ 18 miliardi nel 2016 anche se tale emergenza, lanciata dalle autorità in alcuni stati brasiliani nel maggio 2015 fu ridimensionata dagli arrivi delle Olimpiadi estive 2016 . Se alcune crisi sanitarie hanno rischi superiori per la salute umana, come l’Ebola in Africa occidentale (con un tasso di letalità che va dal 25 al 90% in base ai casi) o la SARS (con un tasso del 9,6% circa), la pericolosità dipende molto dalla capacità di diffusione. La serietà dell’attuale emergenza sanitaria internazionale Covid-19 è legata al fatto che i sintomi e le modalità di trasmissione sono le medesime di una normale influenza ma con complicanze gravi assai più frequenti (1 caso su 7) ed esiti letali circa 20 volte maggiori. Siamo tutti potenzialmente esposti perché privi di anticorpi specifici e non abbiamo modo, per ora, né di prevenirla con un adeguato vaccino né di curarla con appositi farmaci. Il settore turistico si trova ad affrontare questa sfida sanitaria in maniera ancora più accentuata a causa della sua stessa natura, legata allo spostamento e all’interazione tra le persone che costringe anche a ripensare lo stesso concetto di viaggio. Anche perché, l’aumento degli spostamenti a livello internazionale può essere considerato parte del problema: tra il 1950 e il 2018gli arrivi internazionali sono cresciuti del 5500%, generando economie che contribuiscono per il 10,4% dl PIL globale e impiegano uno su dieci posti di lavoro nel pianeta.
Secondo uno studio del World Travel and Tourism Council [WTTC], realizzato nel 2019 insieme a Global Rescue, realtà che fornisce servizi medici, di sicurezza e gestione delle crisi, il settore Tourism & Travel è diventato più resiliente rispetto al passato 7 . Da un’analisi su oltre 90 crisi e il loro impatto a livello nazionale e urbano sul numero di arrivi e spesa turistica, il tempo medio di recupero delle destinazioni è passato dai 26 mesi del 2001 a 10 mesi del 2018. Rispetto alle quattro categorie di crisi analizzate (32% terrorismo/sicurezza; 13% malattie/epidemie; 19% instabilità politica e 36% disastri naturali), l’instabilità politica è la tipologia che prevede un tempo medio di recupero più lungo (22,2 mesi con un minimo di 10 mesi), seguita subito dalle crisi di origine sanitaria (19,4 mesi con un minimo di 10 mesi) e i disastri naturali (16,2 mesi con un mi