L’idea, presentata dal gruppo Unito (Dipartimenti di Culture, Politica e Società e Informatica) in collaborazione con l’impresa sociale WECO srl1, consiste in uno strumento innovativo di economia sociale per contrastare la povertà alimentare nelle sue dimensioni sociali e psico-emozionali e, contestualmente, la produzione di rifiuti e spreco alimentare nei contesti urbani.
Come emerge dalla letteratura scientifica, la povertà alimentare si configura come fenomeno complesso caratterizzato da aspetti materiali dell’accesso al cibo, ma anche da dimensioni immateriali legate alla compromissione dell’adeguatezza sociale del cibo e delle pratiche connesse, che rappresentano invece un elemento centrale del benessere e della qualità di vita. Tuttavia, se in Italia la deprivazione materiale è ampiamente riconosciuta nel discorso pubblico e presa in carico soprattutto dal secondo welfare (pacchi alimentari e mense benefiche), l’esclusione da pratiche consuetudinarie in cui il cibo si configura come vettore di socialità - come il consumo conviviale fuori casa - rappresenta un aspetto totalmente sottovalutato e non considerato dalle politiche e dai progetti di welfare. Contemporaneamente, l’uso che gli interventi di assistenza (anche quelli meno tradizionali) fanno delle eccedenze alimentari si dimostra non solo altamente stigmatizzante, ma anche poco efficiente in una logica di reale valorizzazione del cibo e riduzione dei rifiuti.
L’idea che negli attuali modelli di redistribuzione le eccedenze si traducano in leftover food for leftover people è sempre più radicata nei dibattiti accademici e pubblici di quei contesti (es. mondo anglosassone) dove da più tempo, e con più consapevolezza, si ragiona di diritto al cibo e sostenibilità.
In questo quadro, il team propone la co-progettazione di un modello innovativo di food welfare in grado di prendersi cura dei bisogni di dignità e inclusione legati alle pratiche alimentari, così come dell’ambiente, attraverso un processo collaborativo di valorizzazione economica delle eccedenze recuperate dal terzo settore, cedute alla ristorazione e, infine trasformate in un social token digitale utilizzabile da persone e famiglie in condizioni di fragilità per esperienze di consumo non stigmatizzanti e sostenibili.