I tensioattivi sono composti utilizzati in diversi ambiti, da quello domestico al cosmetico, fino a quello farmaceutico e biomedico. Si prevede che il mercato globale dei tensioattivi crescerà a un CAGR del 4.7% dal 2022 al 2029. Questo uso così esteso pone interrogativi sull’impatto ambientale; molti derivano infatti ancora dalle risorse fossili e non sono biodegradabili, o lo sono solo parzialmente.
In questo contesto, diventa quindi necessario lo sviluppo di alternative non tossiche e di derivazione biologica. Le biomasse rappresentano la fonte rinnovabile più abbondante e disponibile; in particolare, quelle di seconda generazione, quali le biomasse lignocellulosiche e gli scarti dell’industria agroalimentare, sono una valida risorsa di prodotti ad alto valore aggiunto, che non entra in competizione con il settore alimentare.
Si tratta di materie prime a costo negativo, poiché la loro valorizzazione permette di ridurre l’impatto ambientale dei rifiuti del comparto agroalimentare e di risparmiare sui costi di smaltimento.
Le componenti principali di queste biomasse sono: la cellulosa, le emicellulose e la lignina. Quest’ultima è un polimero amorfo tridimensionale composto da strutture aromatiche reticolate. La lignina è solitamente considerata un sottoprodotto industriale impiegato come combustibile per alimentare i processi di bioraffineria. Tuttavia, la sua struttura unica, ricca di gruppi fenolici e ossidrilici, consente la produzione di un'ampia varietà di composti aromatici (monolignoli) quali, ad esempio, la vanillina e l’acido vanillico, ottenuti attraverso processi di depolimerizzazione ossidativa.
Oltre ad essere ampiamente utilizzata nel settore cosmetico e alimentare, la vanillina trova anche uso in applicazioni medicinali o come platform chemical per la produzione farmaceutica.
In questo Progetto, che prevede la collaborazione tra il Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco (DSTF) ed il Dipartimento di Chimica, verranno messe in atto strategie sostenibili per la sintesi di nuovi tensioattivi derivati dalla lignina, per applicazioni in ambito biomedico.
È noto, infatti, l’utilizzo di composti anfifilici come sistemi di veicolazione di materiale genico o di sostanze attive grazie alla loro capacità di organizzarsi in strutture nanoparticellari in un mezzo acquoso .
Molto lavoro è stato rivolto a comprendere gli elementi strutturali importanti per indirizzare l’interazione tra tensioattivo (o lipide) cationico con il DNA in modo da garantire adeguata stabilità ai lipoplex (complessi tensioattivo-DNA) nelle fasi propedutiche ed iniziali della transfezione fino a consentire una diminuzione di stabilità nel momento in cui si deve liberare il DNA nel citoplasma, auspicabilmente in prossimità del nucleo. A questo proposito, è necessario assicurare un’elevata idrofobia onde facilitare la vescicolazione rispetto alla micellizzazione e al tempo stesso modulare l’interazione della testa polare grazie all’introduzione di gruppi funzionali differenti quali, ad esempio, gli ossidrili o gruppi amminici.
Il piano di lavoro del Progetto parte dall’estrazione della lignina da biomasse residuali provenienti dal settore agroalimentare dell’indotto piemontese, quali, ad esempio, i residui dell’industria vitivinicola locale (forniti dal Centro di Ricerca Viticoltura ed Enologia, CREA-VE, sede di Asti, con cui è già in atto una collaborazione) ed il perisperma di nocciola. Il gruppo proponente ha già esperienza nell’estrazione di polifenoli da queste biomasse, ed il residuo solido post-estrazione potrebbe essere ulteriormente valorizzato con il recupero e la conversione della lignina, per eliminare del tutto gli scarti. Inoltre, sono già stati messi a punto dei processi di estrazione e depolimerizzazione ossidativa della lignina che fanno uso di tecnologie innovative quali le microonde e la cavitazione idrodinamica abbinata al plasma non termico, rispettivamente. La v